La mindfulness. Il non fare, l'accettare e il fare consapevole

Di Antonella Rainone

Estratto da Cognitivismo Clinico (2012) 9, 2, 135-150

 

La definizione moderna

Il fondatore dell’uso clinico moderno della mindfulness, Jon Kabat Zinn, definisce la mindfulness come “il processo di prestare attenzione in modo particolare: intenzionalmente, in maniera non giudicante, allo scorrere dell’esperienza nel presente momento dopo momento” (Kabat-Zinn 1994, p.16). La mindfulness è inoltre definita come la consapevolezza che emerge dal porre attenzione al momento presente sospendendo il giudizio (Kabat-Zinn 2003).

Vivere in maniera mindful l’esperienza del momento presente vuol dire viverla prestandole attenzione senza giudicarla, accogliendola in maniera gentile, accettante, amorevole, compassionevole. La relazione che la persona ha con le proprie esperienze interne ed esterne è caratterizzata da attenzione consapevole e accettazione.

La mindfulness è quindi caratterizzata da due componenti strettamente interconnesse tra loro: 1) l’abilità di dirigere l’attenzione al momento presente (autoregolazione dell’attenzione) e 2) l’attitudine con cui lo si fa, fatta da curiosità, apertura e accettazione (Bishop et al. 2004). Queste componenti insieme permettono alla persona di relazionarsi in una maniera mindful alle proprie esperienze (con consapevolezza, accoglienza e accettazione). La mindfulness viene infatti anche detta “modalità dell’essere” o del “non fare” (Kabat-Zinn 1990) per la caratteristica del vivere tutto ciò che viene senza fare niente per cambiarlo, mandarlo via o per trattenerlo, ma lasciandolo essere e lasciandolo scorrere.

In ambito cognitivista, la mindfulness è stata definita come una forma di “insight metacognitivo o consapevolezza metacognitiva” intesa come processo attraverso cui gli stati mentali (pensieri, emozioni, sensazioni somatiche) sono vissuti in maniera decentrata (Teasdale et al. 2000, Teasdale et al. 1995). Non corrisponde quindi al costrutto di metacognizione attualmente più conosciuto nell’ambito cognitivista, secondo cui la metacognizione è la capacità di riflettere sui propri stati mentali e di criticarli (“conoscenza metacognitiva”, Teasdale et al. 1995). La mindfulness come consapevolezza metacognitiva corrisponde a una modalità di relazione con i propri pensieri, emozioni e sensazioni del momento caratterizzata dal decentramento e dalla disidentificazione, per cui la persona vive i propri stati mentali come stati mentali e non come “fatti” (es. “il pensiero non è un fatto né sono io”).

In sintesi, la psicologia moderna definisce la mindfulness come una specifica modalità di vivere l’esperienza interna ed esterna con attenzione consapevole, senza giudicarla, accogliendola e accettandola momento dopo momento così com’è, senza identificarsi nei propri contenuti mentali. Si tratta dunque di uno “stato” mentale e di un “tratto” in quanto attitudine.

 

Sviluppare la Mindfulness attraverso la meditazione

L’addestramento che porta a sviluppare la capacità di raggiungere una visione chiara e accettante dei propri pensieri, emozioni, sensazioni e azioni insieme alle loro conseguenze momento dopo momento, avviene attraverso tecniche di meditazione. Il legame tra mindfulness e meditazione è rintracciabile già nelle pratiche tradizionali buddiste, quali le meditazioni Vipassana e Zen […].

Il legame tra mindfulness e meditazione è talmente stretto che a volte ci si riferisce alla mindfulness intendendola come pratica meditativa (il che aggiunge un altro significato al termine mindfulness: oltre a uno stato mentale e qualità di tratto, anche pratica).

La pratica di meditazione che aiuta lo sviluppo della mindfulness è condotta attraverso due modalità: 1) formale o strutturata, esercitata in un tempo stabilito e in un setting silenzioso; e 2) informale o non strutturata, esercitata in diversi momenti della quotidianità, senza la necessità di un setting particolare.

Quando si inizia la pratica della meditazione ci si accorge quasi subito della difficoltà a mantenere per più di pochi secondi l’attenzione consapevole su un oggetto (per esempio il respiro). Senza che ce ne accorgiamo ci ritroviamo con la mente da un’altra parte, presi da pensieri di ricordi, giudizi, programmi da fare o da emozioni o sensazioni fisiche soprattutto disagevoli. La nostra mente infatti tende naturalmente a vagare nel passato, nel futuro e a giudicare ed etichettare continuamente l’esperienza presente. Altrettanto naturalmente tende a vivere l’esperienza in pilota automatico ovvero senza consapevolezza. La meditazione addestra a essere “svegli” mentre viviamo, osservando consapevolmente queste modalità della mente senza giudicarle, ma vivendole per quelle che sono. Ogni volta che la mente va altrove, l’istruzione è di osservare dove è andata, di lasciare andare l’oggetto da cui è presa (un pensiero, un rumore, una sensazione, un impulso, etc.) e di tornare sull’oggetto àncora su cui si stava ponendo intenzionalmente l’attenzione (il respiro, le sensazioni del corpo, etc.). Il lasciare andare riguarda sia un’esperienza sgradita sia una piacevole, con tutte le difficoltà che ciò comporta. Solitamente lasciare andare una sensazione piacevole è molto più complicato che farlo con una spiacevole.

In sintesi, le pratiche di meditazione aiutano a sviluppare una consapevolezza non giudicante, gentile e compassionevole dell’intera gamma delle nostre esperienze presenti. In altre parole, addestrano ad avere una relazione accettante e decentrata con le nostre esperienze, essendone consapevoli man mano che fluiscono, senza criticarle né etichettarle né giudicarle ma accettandole e considerandole per quello che sono (stati mentali). Le pratiche di meditazione permettono lo sviluppo della capacità di entrare in una modalità dell’esistenza mindful. Si sviluppa così la capacità di entrare intenzionalmente in uno stato mindful (mindfulness come stato) dove esiste uno spazio tra esperienza e azione, e aumenta l’attitudine accogliente, accettante, non giudicante verso l’intera gamma delle esperienze (mindfulness come tratto).

 

Falsi miti sulla mindfulness

Prima di affrontare la mindfulness […] è necessario sfatare alcuni falsi miti che riguardano la meditazione in generale e la mindfulness in particolare (Chiesa 2011, Gunaratana 1993, Kabat-Zinn 1990). La definizione di mindfulness come porre attenzione consapevole e senza giudizio all’esperienza del momento non lascia dubbi sull’infondatezza della credenza secondo cui la mindfulness sarebbe una specie di trance o comunque uno stato alterato di coscienza. Al contrario, si cerca di mantenersi “svegli” e di accorgersi di eventuali alterazioni di coscienza, quando questa è l’esperienza del momento, e di ritornare a un’attenzione consapevole. Questa osservazione ci permette di correggere anche un’altra falsa idea ovvero che la mindfulness è un modo per fuggire dalla realtà magari pensando a pensieri elevati e sublimi. Come abbiamo visto, semmai ci si addestra a stare con la realtà, dolorosa o piacevole che sia e con qualsiasi pensiero arrivi senza cercare di cambiare e sostituire. Dal punto di vista della mindfulness non ci sono pensieri migliori o peggiori, sono solo pensieri che sono vissuti per quello che sono: stati della mente transitori con cui si può avere una relazione più accettante e decentrata. […].